Rudy Voeller

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    CITAZIONE (gianco@fazenda @ 16/4/2017, 14:06) 
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    A Miralem Pjanic non piace quest'elemento
     
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    Rudi Voeller: "Con lo stadio la Roma diventa un top club. La Sud è troppo lontana dal campo"
    La prima parte dell'intervista all'ex centravanti su Il Romanista: "Dagli spalti dell’Olimpico non si vede niente, pensate ai romanisti in un impianto per calcio"
    Rudi Voeller:
    Gabriele Fasan, Dario Moio, Stefano Pettoni

    10 ore fa
    «Finisco la cacio e pepe e iniziamo». Comincia così, in un bar del centro dove avevamo appuntamento, la chiacchierata con Rudi Voeller, per tutti il tedesco che vola. Anche per noi. Siamo stati più tedeschi di lui, arrivando con largo anticipo: è valsa la pena attenderlo mentre finiva di pranzare con la moglie e uno dei cinque figli, Kevin.

    È «sempre un piacere» per Rudi tornare a Roma, ieri ha anche modificato la sua foto profilo di Whatsapp, dove è comparso il Colosseo: «Sono qui per motivi familiari, ho approfittato della sosta del campionato», dice con un immancabile boccale di birra ghiacciata, intorno ai piatti tipici della cucina romana. Ai quali è rimasto legato, ovviamente, grazie alla moglie e alla suocera: «Ogni volta che sono a Roma mi cucina di tutto. A mia moglie piace vivere in Germania, sta a Dusseldorf da molti anni ma ogni tanto ha bisogno di tornare a Roma. Ultimamente ci passo meno tempo di quanto vorrei, domani (oggi, ndr) ritorno in Germania perché giochiamo già venerdì contro l'Hoffenheim».

    Segue ancora la squadra giallorossa, certamente per ragioni di lavoro, visto che è il direttore generale del Bayer Leverkusen, ma anche di cuore. Soprattutto di cuore. «Sono informato, ma non così da vicino, ovviamente», soprattutto per rispetto non entra troppo nel merito delle vicende di attualità legate al mondo giallorosso. Ma una cosa è certa, si legge nei suoi occhi quanto sia rimasto legato alla Roma e ai romanisti, a tutta la sua vita sotto al Colosseo: «Sono stato qui per Roma-Liverpool di Champions della stagione scorsa, purtroppo la finale è stata persa all'andata...».


    L'azione del gol contro il Broendby, con Rudi che "anticipa" Rizzitelli, nella semifinale di Coppa Uefa del 1991 @LaPresse

    Un'occasione inaspettata, che l'ha fatto tornare con la mente ai tempi in cui era uno dei leader della Roma, prima nel vecchio Olimpico, poi al Flaminio, infine nell'Olimpico rinnovato dove lui, dopo aver alzato in estate nelle notti magiche la Coppa del Mondo con la sua nazionale, con il Foggia in Coppa Italia (poi vinta a fine stagione), il 5 settembre 1990, e quattro giorni dopo con la Fiorentina alla prima di campionato, fu il primo romanista a segnare:

    «Fu un anno fantastico, la mia migliore stagione. È stato un bel periodo in quello stadio. È chiaro che lo stadio pieno è sempre bello, però quando ho visto la semifinale di Champions contro il Liverpool e quando siamo venuti a giocare qui con il Leverkusen, mi ha fatto impressione il fatto che non non si veda niente. A chi piace giocare in uno stadio così? Chi vuole vederci una partita? Mi dispiace per la Sud, Curva eccezionale, che è a un chilometro dal campo. Immagino che i tifosi della Roma diventino matti quando vanno allo Stadium di Torino, a Udine o a San Siro. All'Olimpico sei troppo lontano, da tifoso non vedi niente, da calciatore non senti appieno quel calore enorme che pure il pubblico della Roma è capace di trasmettere. E io ne so qualcosa. Da noi in Germania non esistono più stadi così, c'è solo a Berlino e anche loro stanno pensando di fare uno stadio nuovo. Poi nel calcio di oggi avere un impianto di proprietà è importantissimo. Io sono anche convinto di una cosa: se la Roma riuscirà a costruire lo stadio entro un paio di anni può diventare un top club, può entrare tra le migliori 10 squadre del mondo. E per questo sto tifando perché lo stadio si faccia».

    Come va il tuo Bayer Leverkusen?
    «Stiamo soffrendo come la Roma per entrare in Champions. Abbiamo una buona squadra, abbiamo giovani di grande talento, possiamo ancora arrivare in Champions ma dobbiamo lottare anche per rimanere in Europa League. Siamo sesti, ma abbiamo qualche punto in meno, proprio come la Roma. Siamo usciti dall'Europa League con il Krasnodar con due pareggi (0-0 in trasferta e 1-1 in casa, ndr). Eravamo più forti ma alla fine siamo usciti, come la Roma con il Porto».

    Ti occupi ancora di mercato e la Roma ha appena cambiato direttore sportivo...
    «Lo so ma io dico sempre una cosa: a Leverkusen ho fatto tutto, l'anno prossimo compio 60 anni: ho un rapporto speciale col Bayer. Non solo con il club ma anche con la ditta Bayer, un'azienda eccezionale. Non hanno solo le aspirine, ma tante altre cose. Mi trovo bene e penso di chiudere lì».

    In carriera hai fatto l'allenatore ad alti livelli, da ct hai raggiunto la finale dei Mondiali. Perché alla fine hai deciso di fare il dirigente?

    «Perché in fondo io non ho mai voluto essere un allenatore. Quando ho smesso di giocare volevo restare nel calcio come manager, sono diventato allenatore quasi per caso. C'era bisogno di un ct per la Germania, tutti guardavano me e dicevano "devi andarci". Io pensavo di farlo per un anno e alla fine l'ho fatto per quattro. Una cosa simile è accaduta con la Roma, c'era il problema di Prandelli. Mi hanno chiamato Baldini, Totti e Sensi. Tutti mi dicevano "devi venire, siamo in difficoltà. Devi aiutarci almeno quest'anno". Che potevo fare? Alla Roma non potevo dire di no. L'ho fatto, ma ho capito subito che era stata una decisione istintiva. Io sono una persona razionale però in quel caso scelsi col cuore».

    Cosa non funzionò a Roma?
    «In quella situazione ci voleva uno che conoscesse il calcio italiano più di me. Non ero preparato abbastanza».


    Il tedesco con il presidente Sensi nel 2004 all'epoca della breve parentesi da allenatore giallorosso @LaPresse

    Era così difficile allenare quella squadra?
    «Non sono il tipo che dà la colpa alla squadra. Ero la persona sbagliata al momento sbagliato, è stata una decisione presa in pochi giorni».

    Un po' come è successo a Ranieri?
    «Sì, è stato così. Chiaramente con un altro orizzonte. Io ho cercato di aiutare la Roma e avevo messo in chiaro che era solo per quella stagione. Poi ho capito, con tutti i problemi che c'erano, che era meglio lasciare a qualcun altro che conosceva meglio il campionato».

    Da direttore sportivo come avresti gestito la vicenda Di Francesco?
    «Sono troppo lontano per giudicare. Io seguo la Roma, come tutte le squadre in cui ho giocato. Ma non sono adesso in grado di giudicare se è stato giusto o sbagliato. È una cosa che fa parte del calcio: ogni allenatore a questi livelli sa che può succedere. Non solo in Italia ma anche in Germania è così. Quando hai poco successo è per primo l'allenatore che paga. È una legge del calcio».

    È giusto che Monchi abbia lasciato dopo l'esonero di Di Francesco?
    «Sì, anche questo fa parte del calcio. Non solo in Italia, ma anche in Germania è cambiato qualcosa da questo punto di vista. Pochi anni fa il colpevole era sempre e solo l'allenatore, adesso anche quelli che decidono il mercato sono coinvolti. Fa parte del gioco. Magari in Germania non è esagerato come in Italia».

    È più difficile fare il giocatore, l'allenatore o il dirigente?
    «Io dico sempre ai miei giocatori: "mai smettere troppo presto di giocare, perché questo è il lavoro più bello del mondo". Da calciatore non si hanno responsabilità particolari. Io ho fatto tutte e tre le cose nella mia carriera. La più bella della mia vita è stata fare il calciatore. Non hai tanti pensieri, sei giovane, ti alleni. Gli ultimi anni sono un po' pesanti perché non giochi e magari ce l'hai con l'allenatore, diventi più lento. Però mai smettere troppo presto».


    Il centravanti in Roma-Bologna nel "vecchio" Olimpico @LaPresse

    Conosci personalmente Monchi? Della Roma attuale che ne pensi, è stato sbagliato il mercato?
    «Non conosco Monchi. Ci siamo incontrati un paio di anni fa a Siviglia, ma c'è stata solo una stretta di mano. Non posso dire di conoscerlo. È sempre difficile giudicare. L'anno scorso contro il Liverpool e magari con altri 5 minuti eri in finale di Champions. La Roma ha fatto una grande Coppa e la finale l'avrebbe meritata».

    Più che le cessioni, a destare qualche perplessità è stato il mercato in entrata.
    «Io faccio questo mestiere e non mi metto a giudicare l'operato di Monchi o di Di Francesco. Non è giusto perché seguo la Roma da lontano e non mi posso permettere di dire quale errore è stato commesso».

    Che percezione c'è della Roma all'estero? È cambiata rispetto ai tuoi tempi?
    «Certo, c'è una buona considerazione. La squadra gioca un buon calcio e c'è una buona società. Certo poi Roma è sempre Roma. Quando l'Eintracht è venuto a giocare contro la Lazio, i dirigenti mi hanno chiamato per chiedermi dove potevano mangiare bene. Loro hanno un grande entusiasmo. Loro hanno uno stadio sempre pieno, ogni partita sono in 55mila».




    L'Olimpico invece in media non arriva a 40 mila.
    «Sono convinto che con il nuovo stadio sarà sempre pieno. Perché la gente vuole stare vicino, vuole vedere la partita, vuole stare comoda. Il calcio è così ora. Certo, ogni tanto devi anche vincere però. La Roma è da tanto che non vince, ma è difficile con questa Juve, che è un po' come da noi il Bayern Monaco. Loro hanno più soldi degli altri, ma poi bisogna dire che prendono anche le decisioni giuste. Altrimenti solo con i soldi non vinci».
    Voeller: "All'estero la percezione del club ora è migliore. Ranieri? Alla Roma non si può dire di no"


    Se non arriva la Champions la situazione si complica un po' per la Roma.
    «Un po' come a Leverkusen. In questa stagione ci sono tante squadre che in campionato stanno facendo bene. L'anno scorso, anche da noi, era più facile arrivare in Champions. In Serie A c'è la Lazio che gioca bene, le milanesi sono tornate, l'Atalanta gioca un buon calcio, c'è la Fiorentina. Non è facile».

    Qual è la tua idea sul Fair Play Finanziario?
    «Anche in Germania è una questione aperta. Tutti cercano di rientrarci. Noi cerchiamo sempre di rispettarlo, non esageriamo mai. La Bayer ci dà un budget di 25 milioni ogni anno, da tanti anni. Se andiamo a bussare per avere soldi extra ci dicono di no».


    Rudi Voeller durante l'intervista

    Però il FFP non viene mai applicato veramente.
    «Psg e City sono quelli che esagerano e competere con loro diventa difficile. Ma è difficile anche competere con chi rientra nei parametri senza esagerare. Per esempio il Bayern Monaco che ha tanti sponsor, sei o sette da cui prende 30-40 milioni per ognuno. Non puoi competere. Certo, poi, sul campo li abbiamo battuti qualche settimana fa, però alla fine non c'è gara. Un giocatore che ottiene un contratto di 5 anni con il Bayern vince 4 volte il campionato, non importa se gioca bene o male. Vince lo stesso. Se sta lì vince, è come stare alla Juve adesso».

    Parliamo della tua Roma, la tua prima stagione non è stata brillante e avevi chiesto di andar via. Poi sei diventato indimenticabile.
    «Sì, dopo un anno. Sono cose che fanno parte di una carriera, io ero venuto a Roma con grande entusiasmo, stavo male all'inizio e sono rientrato in campo troppo presto. Poi negli Anni 80-90 non era come oggi con le rose di 23-25 giocatori, noi eravamo di meno. C'era necessità che giocassi. Il presidente Viola ogni giorno veniva a Trigoria: "Come stai? Stai meglio?", mi chiedeva continuamente. Poi andava in ufficio, dopo dieci minuti passava e mi richiedeva: "Allora, come va?". Era un presidente eccezionale. Però, ripeto, c'era tanta pressione per farmi rientrare. Sono tornato troppo presto e giocavo male».


    Voeller con Dino Viola, il presidente che lo acquistò dal Werder Brema

    Chi ti ha convinto a rimanere?
    «Sempre Viola. Io ero un calciatore con tante offerte, soprattutto dalla Germania. Lui mi ha detto: "No, devi restare qua". Poi sono arrivati gli anni belli».

    C'è stato un momento in cui hai detto: "Adesso vi faccio vedere io chi è Voeller"?
    «Sapevo che stando bene fisicamente potevo far vedere le mie qualità. Poi sono venuti 3-4 anni buoni, soprattuto dopo i Mondiali del 90, la finale di Coppa Uefa, la vittoria della Coppa Italia».

    Quella non era una Roma fortissima, hai mai pensato di essere "sprecato" in quella squadra?
    «Certo c'era sempre il Milan, ma anche il Napoli e la Samp vincevano in quegli anni. Ma io stavo troppo bene a Roma. Ai tempi del Werder avevo avuto qualche chiamata dall'Italia. Mi ricordo nel 1984 c'era una bella offerta del Milan, venne Capello (insieme con Ramaccioni) a Brema. All'epoca non era ancora allenatore, si occupava di scoprire giovani talenti. Poi al mio posto presero Hateley, perché io non volevo andare via dalla Germania. Chiusero le frontiere e alla fine arrivò la Roma. Certe volte la vita è strana. Perché mi voleva la Roma e mi voleva Eriksson, che poi è andato via. A Roma ho conosciuto il Barone Nils Liedholm, una persona eccezionale. E poi sono venuti Radice e Bianchi».

    Un aggettivo per Liedhlolm, Radice e Bianchi.
    «Io con tutti i miei allenatori ho avuto un buon rapporto. Giocavo spesso e sentivo la fiducia. Anche con Bianchi sono stato benissimo, mentre Giannini e Conti hanno avuto qualche problema con lui. Radice e il Barone erano eccezionali. Con Bianchi abbiamo vinto la Coppa Italia, siamo arrivati in finale di Coppa Uefa, ma magari non è sempre stato amato. Io dico sempre una cosa, la persona più importante in una società è l'allenatore. Certo devi avere i giocatori bravi, ma un tecnico che non è a un certo livello ti fa girare male anche la squadra».

    Che ricordo hai dell'anno al Flaminio?
    «Tanti ricordi bellissimi, a partire dal gol nel derby».

    Quando tu hai segnato il gol di testa, o meglio, di naso.
    «Sì, perché il portiere uscì un po' così. Non sapevo dove aspettarmi il pallone: cercai solo di spingerlo in rete perché la porta era vuota».

    Rizzitelli ci ha detto che se lui non avesse ostacolato Orsi tu non avresti segnato…
    «Ruggiero fece un buon lavoro».

    Rizzitelli c'entra un po' anche nel gol col Broendby.
    «Lui era dietro di me, l'ho presa io. Mica poteva prendersi quel gol».

    La Roma la prossima partita giocherà con il Napoli, ti ricordi il tuo gol di Capodanno.
    «Me lo ricordo bene. Era il 31 dicembre e stavo a Roma. Dopo la partita siamo usciti. Mamma mia! Abbiamo fatto Capodanno qua in centro e il pomeriggio avevamo vinto 1-0 col Napoli. Che ricordi. Ho segnato quel gol negli ultimi minuti su cross di Cicoria (Tempestilli, ndr). L'unico cross bello che ha fatto nella sua carriera... (ride, ndr)».

    Con la maglia della Roma hai perso la finale di Coppa Uefa, con il Var quella coppa l'avremmo vinta?
    «È difficile dirlo a distanza di anni. All'epoca c'erano tante partite dove qualcosa non era chiaro. Ma devo essere sincero, i primi 6 mesi del Var in Germania sono stati proprio difficili. Poi con il tempo è migliorato e alla fine è diventato meglio giocare col Var. Per il fuorigioco aiuta alla grande. Per i falli di mano è più difficile. L'unica cosa che cambierei sul fallo di mano è in base alla posizione in area di chi lo commette: se sei più defilato è un conto, se sei al centro dell'area è più decisivo. Però è sempre difficile decidere. In Germania facciamo le stesse discussioni che si fanno in Italia».

    Ti ricordi il coro "Vola, tedesco vola"?
    «Sì, certo. Prima di tutto devo ringraziare Lorella Cuccarini. L'ho incontrata un paio di anni fa allo stadio e abbiamo parlato di questa cosa. Poi ho un ricordo bellissimo della Curva Sud. Ecco. I romanisti li trovi dovunque, in Germania, a Mosca, in tutto il mondo. I romanisti sono immensi. Magari in un ristorante c'è sempre qualcuno che ti fa: "Ahò, Rudi!"».


    Rudi Voeller con Aldair nel 1990 nel "nuovo" Olimpico (LaPresse)

    I tuoi figli sono italiani? Seguono la Roma?
    «Kevin è nato qui a Roma. Tutti seguono più il Bayern Leverkusen ma hanno sempre un bel rapporto con la città».

    Tu hai fatto il cucchiaio in un derby, cosa ti venne in mente in quel momento?
    «Non volevo prendere in giro nessuno. Io ho spesso tirato i rigori, il cucchiaio l'ho fatto anche a Marsiglia. Qualche volta l'ho fatto perché non sapevo come tirare. I portieri si buttano sempre prima, è un modo per far gol».

    Quelli erano derby duri, finivano spesso in pareggio.
    «E spesso veniva cacciato qualche calciatore. Erano derby sentiti, mamma mia! I romani lo sentivano molto di più, poi dopo il primo anno ho iniziato a sentirlo anche io. Però cercavo sempre di restare tranquillo sennò diventavi matto. Desideri o Nela spesso finivano fuori. Loro lo sentivano tanto».

    Il difensore più difficile che hai affrontato in Italia?
    «È dura dirlo. Oggi gli attaccanti sono più protetti rispetto ai miei tempi. Una volta era difficile giocare contro il Milan. Con Baresi e Costacurta era quasi impossibile, specialmente con il "Vigile" lì in mezzo (ride, ndr). Mamma mia, quante volte alzava il braccio e il guardalinee subito alzava la bandierina. All'epoca non c'era il Var, bastava che Baresi indicasse l'offside ed era fatta... Però il Milan era una squadra eccezionale».

    Il compagno d'attacco ideale?
    «Ho avuto con tutti un ottimo rapporto. Con Ruggiero sono stati anni bellissimi però anche con Klinsmann in nazionale o a Marsiglia con Boksic, al primo anno abbiamo fatto tanti gol insieme. La cosa importante è quando sei contento anche per il compagno che segna, spesso oggi non è così. Io ero contento quando Rizzitelli segnava».

    Ti piace Dzeko?
    «Certo, già ai tempi del Wolfsburg. Come qualità fisiche e tecniche è un giocatore che non si discute, ci punterei ancora».

    E Schick? Punteresti su di lui per il dopo Dzeko?
    «È un talento, è veloce. Ma oggi è ancora presto per dirlo».

    Un bomber che consiglieresti alla Roma?
    «Il nostro allenatore è Bosz, che allenava l'Ajax, e lui mi parla sempre di Justin Kluivert, gli piace molto, dice che è un campione. Certo gli manca ancora qualcosa, è molto giovane e ha bisogno di giocare ma lo vedo molto bene. Lo dico liberamente perché tanto non possiamo comprarlo (ride, ndr)».

    Ti piace Zaniolo?
    «L'ho visto giocare qualche volta ed è molto bravo. Anche noi abbiamo un profilo simile, destinato a fare una grande carriera. Si chiama Kai Havertz, ha 19 anni come Zaniolo. Per fortuna abbiamo un contratto con lui fino al 2022. Diventerà molto forte».

    Se arrivasse un'offerta fuori mercato per Havertz la accettereste?
    «È cresciuto con noi nel settore giovanile, conosciamo bene la sua famiglia e il suo procuratore. Lui sa già che non lo vendiamo, con la società abbiamo deciso che rimane sicuramente. Poi siamo una squadra che fa soldi anche con le cessioni per poi investire e far crescere la squadra. Un discorso molto simile a quello che fa la Roma».

    Nel calcio di oggi non ci sono più bandiere.
    «È più difficile esserlo. Oggi i calciatori con il talento di uno come Totti vanno in una squadra come Real, Barcellona o City. Lui invece è rimasto sempre qui a Roma e per questo è diventato giustamente un idolo».


    Voeller con Francesco Totti nel 2004 quando allenava la Roma (LaPresse)

    Hai visto il suo addio al calcio?
    «Anche io ho vissuto un addio. Da una parte è triste, dall'altra parte saluti una carriera eccezionale. Anche se ha vinto poco, con la Roma ha conquistato uno Scudetto e un Mondiale. È facile vincere con Juve o Bayern, in giallorosso si compie l'impresa facendolo».

    La Roma su che tipo di allenatore dovrebbe puntare?
    «Onestamente io ammiro anche Ranieri e non solo per la sua vittoria con il Leicester. Prima della sua esperienza in Premier è venuto anche a Leverkusen, è stato a vedere gli allenamenti. Questo ti fa capire che è una persona che guarda sempre avanti».

    Un giudizio su Tedesco dello Schalke.
    «Il suo problema è stato l'anno precedente, è arrivato secondo - ma con una squadra non di alto livello - perché il Borussia Dortmund non è andato bene e il Bayer Leverkusen è arrivato soltanto quinto. Tutti sono rimasti sbalorditi da quel risultato. Tedesco era un giovane allenatore che stava facendo bene. Ma così ha alzato le aspettative nei suoi confronti e il secondo anno è diventato complicato. Io lo conosco e sono sicuro che farà una grande carriera: il suo problema è stato aver fatto più del possibile l'anno prima».

    Qualcosa di simile a quello che è successo a Di Francesco con la semifinale di Champions?
    «Con Tedesco è stato ancora più estremo perché lo Schalke è arrivato secondo e non valeva quanto valeva la Roma. Ora lo Schalke rischia di andare in Serie B».

    Un calciatore tedesco che consiglieresti alla Roma?
    «Sui miei calciatori non posso consigliare (ride, ndr). Sané è un numero uno, del nostro Havertz ho già detto, e poi c'è Werner del Lipsia ma credo che finirà al Bayern».


    La vittoria del mondiale a Roma con la Germania

    Su Ünder potrebbe puntare il Bayern Monaco?
    «Non credo che andrà al Bayern che ha già Koman e Gnabry».

    Ripensi ogni tanto alle tue corse sotto la Curva Sud?
    «Certo che ci penso anche se io ero un po' strano. Quando segnavo mi piaceva sempre correre dalla persona che mi aveva passato il pallone. Andavo sotto la Curva, ma non così spesso come gli altri».

    Per noi sarai sempre il tedesco che vola.
    «E i tifosi romanisti saranno sempre nel mio cuore».
     
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