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Benvenuti su questo nuovo topic, nato dalle menti malate di due storici utenti, Mammax ed Oplomacus, pronti a sfidarsi a suon di racconti di ogni tipo per dimostrare chi merita lo scettro di miglior letterario dell'ASRoma forum.
Di cosa si tratta? Non è altro che un contest nel quale i due sopracitati scriveranno (in forma "anonima" per permettere la maggiore trasparenza possibile) storie appartenenti a differenti generi che verranno via via votate da tutti gli altri per stabilire di volta in volta il vincitore.
GENERI:
- Giallo/Thriller/Noir
- Drammatico
- Azione/Bellico
- Storico
- Fantastico (tutto ciò che non è reale)
REGOLE:
- Times New Roman 12 per il testo
- Times New Roman 20 per il titolo (massimo una riga)
- Interlinea singolo
- Testo giustificato
- Lunghezza tra 1.5 e 2 pagine di Word
Che lo scontro abbia inizio Muhammax Ali Oplomacus
Vincitore Genere Storico: "Oltre il Sole". (Chiusura sondaggio 26/11/2019)
Vincitore Genere Drammatico: "Una Vita in Una Scelta". (Chiusura sondaggio 27/12/2019)
Vincitore Genere Fantastico: "Rovine". (Chiusura sondaggio 3/4/2020)
Vincitore Genere Giallo/Noir: "Erano passate da poco le due". (Chiusura sondaggio 3/8/2020)
Vincitore Genere Azione/Bellico: "La goccia". (Chiusura sondaggio 8/1/2021)
Chiusura Contest: 8/1/2021. Vincitore: Oplomacus con un punteggio di 5-0
Edited by Giulio™ - 9/1/2021, 19:56. -
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peccato, se era previsto anche il porno partecipavo . -
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All'inizio è nato come scherzo, ma poi ci siamo scritti in privato e abbiamo deciso di fare questa cazzata.
Diciamo che è un esperimento. Se il topic dovesse avere successo, perché non fare una indire edizione, stavolta aperta a tutti?
Detto ciò, non siate timidi e votate numerosi.
Giulio, dicci te da quale genere iniziare. -
.All'inizio è nato come scherzo, ma poi ci siamo scritti in privato e abbiamo deciso di fare questa cazzata.
Diciamo che è un esperimento. Se il topic dovesse avere successo, perché non fare una indire edizione, stavolta aperta a tutti?
Detto ciò, non siate timidi e votate numerosi.
Giulio, dicci te da quale genere iniziare
Si parte dallo... Storico!. -
.All'inizio è nato come scherzo, ma poi ci siamo scritti in privato e abbiamo deciso di fare questa cazzata.
Diciamo che è un esperimento. Se il topic dovesse avere successo, perché non fare una indire edizione, stavolta aperta a tutti?
Detto ciò, non siate timidi e votate numerosi.
Giulio, dicci te da quale genere iniziare
Si parte dallo... Storico!
Su questo ve rompevo il culo, per usare un’espressione in voga alla corte del Re Sole. -
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Ma che state a di oh? Non ne so niente io . -
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Arrivano, eh....non disperate . -
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L'avevo detto che non ne sapevo niente! Scherzi a parte, mea culpa, sono molto lento e molto incasinato... ma ce la faremo . -
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Ok, avevo evitato di dirlo di proposito, ma, a questo punto... SPOILER (clicca per visualizzare)Io ho consegnato una settimana fa, manca solo Mammax. -
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Spero di concludere qualcosa in questo fine settimana. L'inferno è meno caotico di questo mio ottobre. . -
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Mammax che demo da fa? . -
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Fase di revisione, non temete. Avevo avuto un gran bel blocco. . -
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Arrivati i due racconti. Buona lettura (e votazione nel sondaggio in alto nel topic)
RACCONTO N°1OLTRE IL SOLE
Costantinopoli, anno Domini 1061
Riflettendo sulle emozioni che stava provando in quel momento, Giuliano sorrise e, interrotto
brevemente il suo incedere, si rese conto con amarezza che, talvolta, i disegni del Signore non sono
solo imperscrutabili, ma anche ironici e, forse, perfino beffardi. “Kyrie eleison” mormorò tra sé, riprendendo a camminare, tallonato con discrezione da Decenzio, il
suo servitore. Per dieci anni, in qualità di ufficiale dell’esercito imperiale, aveva prestato servizio in
Italia, combattendo contro i normanni e affrontando in prima linea la loro spaventosa cavalleria
pesante, senza mai battere ciglio e obbedendo agli ordini non sempre brillanti dei suoi superiori.
Adesso, invece, al pensiero di dover parlare con Zoe, sentiva le gambe fiacche, molli, e un nodo alla
gola gli rendeva intollerabile la sola idea di parlare. Per un attimo, si domandò se, nell’insieme delle
molte verità sull’animo umano che uno dei suoi autori preferiti aveva portato alla luce, tra una
tragedia e l’altra, la più grande non fosse quella in base alla quale la donna sarebbe il peggiore dei
mali.
Dopo un tempo indefinito, uscito dall’affollato dedalo di vicoli in cui il suo corpo, quasi a voler
imitare la mente, sembrava essersi perso, si ritrovò all’ingresso del porto più grande del mondo,
quindi si diresse, costeggiando il mare, verso ovest, in direzione del foro di Arcadio. Il panorama
sembrava strappato da un affresco; imbarcazioni a remi e a vela solcavano un’acqua piatta come
una tavola, sulla quale risplendevano i raggi accecanti con cui il Sole, superato da poco lo zenit,
riscaldava la capitale di quello che, dalla caduta di Roma, era rimasto l’unico Impero Romano.
Centinaia di operai, schierati sui moli, afferravano al volo le cime che venivano gettate loro dai
marinai, imprecando e bestemmiando nelle loro lingue d’origine, mentre i servitori dei mercanti di
pesce si accalcavano nel tentativo di aggiudicarsi il pescato migliore, arrivando a spingere, a
sgomitare e, nei casi più estremi, perfino a fare a pugni. Pur essendo cresciuto in un latifondo della
Bitinia interna, lontano un giorno di cavalcata dal porto più vicino, Giuliano apprezzava
quell’umanità rude e, al tempo stesso, autentica e sanguigna, assai lontana, tanto nella forma quanto
nella sostanza, dall’untuosità della Corte Imperiale, tra le cui spire era costretto, in quanto capitano
della Schola Palatina, a vivere quotidianamente.
“Un solido per mangiare, kyrie! Un solido e Dio te ne sarà grato” implorò un anziano mendicante,
afferrando il braccio destro di Giuliano, il quale, senza pensarci due volte, lo respinse con fermezza,
salvo poi fare cenno a Decenzio di allungargli una moneta. In fin dei conti, era pur sempre un
Lascaris di Nicomedia. Rammentare il suo retaggio gli procurò un’altra fitta allo stomaco. Zoe,
figlia del popolo, glielo rinfacciava di continuo e non sempre in tono ironico, ma, inconsciamente,
Giuliano la adorava anche per quello. Cercando di dimostrarle ogni giorno di essere, per lei, solo
Giuliano e non il figlio di Niceforo Lascaris, il giovane si sforzava di convincere di ciò innanzitutto
sé stesso e, nel tentativo, era diventato indiscutibilmente una persona migliore. Imboccando,
finalmente, l’ultimo molo del porto, si disse che, a voler essere onesto fino in fondo, se, in lui, era
rimasto così poco del reduce stanco e apatico che, un anno prima, aveva fatto ritorno dall’Italia, era
solo merito di Zoe.
Lei era lì, dove sapeva di trovarla, davanti all’ingresso della bottega del padre, una delle più grandi
della città. Libanio, così si chiamava quel grassone rozzo e manesco, aveva iniziato come tuttofare
di un mercante che importava tessuti dall’Oriente e, a furia di risparmiare, era riuscito a mettere su
un’attività indipendente, riuscendo, nel corso degli anni, ad affermarsi come il più importante
grossista di garum della città. Alle sue dipendenze, rinchiusi nel retrobottega, si diceva che
lavorassero più di trenta garzoni e che venissero trattati come schiavi, ma lo stesso Giuliano si era
ritrovato costretto ad ammettere che quella salsa, realizzata alla maniera degli antichi, fosse la più buona della capitale, al punto che, come qualcuno gli aveva confidato, perfino la Corte Imperiale,
per i suoi sfarzosi banchetti, ne acquistava in gran quantità. Zoe, l’unica figlia, era incaricata di
curare direttamente, ogni mattina, l’acquisto della merce. I pescatori, ben lungi dall’attenderla alle
rispettive banchine, si recavano presso di lei personalmente, in ossequio a Libanio, temuto,
nell’ambiente del commercio portuale, quanto e più degli esattori imperiali. Anche in quel
momento, la ragazza stava confabulando animatamente con tre individui scalzi e cotti dal sole, i
quali recavano con loro enormi cesti di vimini, pieni fino all’orlo. Fu solo dopo che costoro si
furono allontanati, contando con evidente soddisfazione una pila di monete, mentre i servitori di
Libanio trasportavano la merce nei meandri della bottega, che Giuliano, non prima di aver ordinato
a Decenzio di attenderlo a debita distanza, si palesò a Zoe. Fortunatamente, il molo, in quel
momento, era semideserto.
Quando lo vide, la giovane sorrise e gli si avvicinò subito, ma senza scomporsi. Nei contesti in cui
si frequentavano di solito, lontani dagli occhi del padre, gli sarebbe saltata al collo, appassionata
come una baccante.
“Giuliano, che sorpresa! Cosa ci fai da queste parti? È la prima volta che ti avvicini così tanto a mio
padre, ti sei finalmente deciso a chiedergli la mia mano?”.
Giuliano la guardò e sentì che le forze gli venivano meno. Nella sua stola color oro, ornata da
un’unica pietra preziosa, la ragazza era bellissima.
“Al massimo, potrei cedere alla tentazione di sfidarlo”.
Zoe rise, mordendosi il labbro. Sapeva bene che l’ufficiale detestava Libanio, anche e soprattutto
alla luce dei suoi racconti, e che gli avrebbe volentieri piantato nel collo la propria spada a una
mano e mezza. Era un vero peccato che, per un aristocratico, fosse estremamente sconveniente
sfoderare l’acciaio contro un sordido popolano come il mercante di garum. Giuliano proseguì:
“No, mi trovo qui per un altro motivo, purtroppo. È molto importante e desideravo parlartene
subito, senza attendere la sera”.
Di colpo, Zoe si fece seria.
“Cos’è successo?”.
Il giovane inspirò profondamente e, dopo una breve esitazione, decise di non tergiversare.
“Mi è stata assegnata una nuova missione. Lunedì prossimo, se il vento lo permetterà, salperò per
l’Italia”.
La ragazza, anche se impietrita, mantenne il proprio contegno.
“Perché? Ti mandano di nuovo a combattere?”.
“No, grazie a Dio. L’Imperatore in persona mi ha incaricato di scortare, insieme ai miei uomini, il
vescovo di Tessalonica a Magonza, nel Sacro Romano Impero, dove è previsto che incontri un suo
omologo di quelle parti. Da lì, proseguirò per Aquisgrana, perché mi è stato ordinato anche di
consegnare un dono al Re dei… Ti prego, non fare così”.
Rigato da un’unica lacrima, il volto di Zoe si era tramutato in una maschera di collera.
“Non fare così?! Mi stai dicendo che non ti rivedrò più, cosa pretendi che faccia?”.
“Tornerò, te lo prometto. Non vado in guerra, è solo una missione diplomatica”.
“Credi che non sappia come va il mondo, solo perché sono una donna, perché non mi chiamo
Lascaris o perché non ho letto tutti i tuoi bei libri? La Germania è dall’altra parte del mondo e mio
padre dice sempre che degli occidentali non ci si può fidare”.
“Tuo padre ne dice tante…”.
Zoe ignorò la battuta e continuò:
“Per dieci anni, ti hanno tenuto in prima linea per dieci anni! Non è giusto, Giuliano! Quando ti ho
conosciuto, Dio solo sa come facessi a reggerti in piedi”.
La sua voce iniziò a incrinarsi.
“In nome del Signore, sei un Lascaris! Tuo padre possiede più terra di tutti gli abitanti di questa
città messi insieme, possibile che non possa fare qualcosa? Possibile che…”.
“Zoe…”.
“E non venirmi a parlare di lealtà all’Imperatore. Quella vecchia cariatide…”.
Giuliano, stavolta, non osò contraddirla. Erano ben pochi, tra i ranghi dell’esercito e perfino della
Schola Palatina, a non parlare male di Costantino X di casa Ducas, delle assurde politiche che stava
attuando e dei suoi discussi familiari, su tutti Andronico, il nipote, un giovane dall’aria sgradevole.
Quando, ormai, la ragazza, abbandonato ogni freno, aveva iniziato a piangere, Giuliano le prese il
volto tra le mani.
“Zoe, io devo andare laggiù, a ovest, oltre il Sole, perché questa è la volontà di Nostro Signore, ma
ti giuro che tornerò e che, qualunque cosa possa dire la mia famiglia, in spregio a ogni minaccia di
tuo padre, io ti sposerò. Lo giuro davanti a Dio”.
Zoe lo fissò negli occhi e, per un lunghissimo istante, tacque, inducendo il giovane ad aggiungere:
“Proprio il tuo silenzio dimostra che sei d’accordo”.
Pur non potendo riconoscere i versi che il suo uomo aveva declamato, la donna si riscosse e,
asciugatasi gli occhi con il dorso della mano, disse, riuscendo perfino a sorridere:
“Ti aspetterò, Giuliano. Qualunque cosa accada, io sarò qui. Non provare a non tornare o a
nasconderti, al tuo rientro”.
Giuliano ricambiò il sorriso, le strinse le mani e, citando un autore le cui opere avevano più volte
letto insieme, sdraiati l’uno accanto all’altra, disse:
“Come potrei nascondermi da ciò che non tramonta mai?”.
RACCONTO N°2CARO DIARIO
La Pharmandroid è una struttura sociosanitaria all’avanguardia. Sono sicura che presto mio padre
potrà tornare a sostenere una vita regolare e mantenerla ancora a lungo, nonostante abbia
sessantacinque anni suonati. Il lavoro che svolgo qui è estenuante e non esistono turni
programmabili, d’altronde la posizione che ricopro è di rilievo. Ho studiato e faticato molto per
arrivare a questo punto ma devo anche riconoscere parte dei meriti a Robert. Averlo conosciuto è
stata una fortuna da molte prospettive, è innegabile. Il lavoro, la convivenza e altre contingenze mi
hanno tenuta distante da mio padre e non vedo l’ora che si riprenda per potergli chiedere scusa
come si deve. Mi sento decisamente in colpa nei suoi confronti. In più, la morte di mamma è stata
per entrambi un duro colpo, nonostante fossero divorziati. Comunque ho sempre provato affetto per
lui e ogni volta che ho del tempo vado nella sua stanza a fargli compagnia come meglio posso. Oggi
ho finito tardi, come spesso accade. Percorro in fretta il corridoio che mi porta alla sua stanza,
immersa in queste tecnologie che mi sembrano ancora surreali, anche se siamo nel 2045. Non credo
ci siano umani a quest’ora nell’edificio, pazienti esclusi, il che lo rende particolarmente asettico e a
tratti inquietante. L’androide di supporto di mio padre è lì al suo posto ed è ormai da qualche tempo
che non mi chiede più l’identificazione. Piccoli lussi che possiamo permetterci solo io e Robert.
Anche se c’è da stare attenti, sono pur sempre macchine. Ciò che è accaduto alla mia famiglia
dovrebbe servire da monito. Entro nella stanza e osservo mio padre nel cilindro di vetro attraverso il
gel trasparente che lo sostenta. Ho portato il suo diario di guerra, ce l’ho sempre con me da quando
mi ha detto che gli piaceva sfogliarlo prima di quel gesto insano che l’ha ridotto in questo stato e
del conseguente ricovero. Mi sembra tutto così futuristico ma è reale: tramite la maschera che
indossa possiamo comunicare. Mi avvicino all’interfono e dopo i soliti saluti iniziali, ancora
abbastanza freddi ad essere sincera, inizio a leggere con voce sostenuta quelli che so essere i suoi
passi preferiti.
“È da inizio anno che l’ISAF ci sta rimpiazzando qui nell’Afghanistan meridionale. Il nostro
impiego è divenuto sempre più sporadico fino all’inizio dell’estate, quando è partita l’Operazione
Zahara. Domani mattina i canadesi avvieranno l’Operazione Medusa e, oltre a loro, combatteremo
di nuovo al fianco di britannici, olandesi, danesi e afghani. Panjwaii è il distretto più importante
della provincia di Kandahar ed è fondamentale liberarlo dai più di mille talebani che ci si pareranno
contro. Noi siamo quasi il doppio, oltre che decisamente meglio armanti e organizzati, quindi non
dovrebbero esserci problemi. Però loro conoscono meglio l’ambiente e sapranno certamente
sfruttarlo, ma se rimaniamo concentrati gli facciamo il culo. D’altronde, lo stesso accadde a giugno,
almeno fino alla morte del Caporale Keller. Direi che è ora di mettere fine a questa storiaccia,
evitando caduti. Anche la NATO è d’accordo: mai prima d’ora aveva organizzato un battaglione di
terra così massiccio. La zona è ormai semideserta da tre mesi, dato che dopo la prima evacuazione
non è stata ripopolata, per cui è uno scenario di battaglia adeguato a limitare le perdite civili.
Secondo il briefing dovremmo concludere l’operazione in circa due settimane, un tempo breve
considerando che abbiamo a disposizione numerosi Humvee e siamo armati di M16, mentre loro
utilizzano vecchi Lee-Enfield e pick-up non corazzati. Dopodiché, finalmente, potrò riabbracciare la
mia famiglia. La piccola Jenny nei prossimi giorni ha il balletto di fine estate. È uno strazio non
poterci essere ma sono sicuro che Catherine se la caverà anche senza di me. Ora basta, non voglio
pensarci. Me ne vado a dormire che è tardi. Mi aspetta una lunga giornata.”
Osservo il volto sereno di mio padre. Non proferisce parola ma sembra quasi sorridere, con gli
occhi socchiusi fissi nel vuoto. Sono certa che stia provando una piacevole nostalgia ripensando a
quando era giovane, sposato e perfettamente in salute. Quella guerra gli ha cambiato la vita per
sempre e purtroppo non in positivo. Appena si riprenderà gli dirò che la sua assenza al balletto mi
ha dato una carica inaudita e che è stato sicuramente il suo pensiero ad aver contribuito alla vittoria
del premio di reginetta di quel magico pomeriggio. Non so invece quando sarà disposto a parlare di
mamma, dovrò valutarlo molto accuratamente. Ci scambiamo uno sguardo, capisco che ha metabolizzato il racconto ed è pronto per il prossimo. Intesa di sangue tra padre e figlia costituita da
taciti accordi. Proseguo.
“Credo proprio che abbiamo vinto. Sempre se di vittoria si può parlare in guerra. Devo ammettere
che è stata molto importante la fiducia riposta in noi dalla popolazione afghana, che abbiamo sentito
vicina e collaborativa, a parte per i soliti screzi con i pakistani. George Junior sarà contento che in
dodici giorni sono state liberate quasi del tutto le provincie di Panjwaii e Zhari. Abbiamo
neutralizzato circa seicento talebani e non penso che si riorganizzeranno di nuovo in tempi brevi. La
fanteria canadese ha svolto un lavoro encomiabile. Peccato per le nostre perdite, anche se contenute,
e per l’incidente del Nimrod britannico. Fottuta guerra. L’area sarà liberata del tutto probabilmente
in inverno. A tal proposito ho già sentito parlare di Operazione Falcon Summit, che dovrebbe essere
l’ultimo tassello prima di passare nella provincia di Helmand. Non finiremo mai. Anzi, in realtà per
adesso noi ci ritiriamo, non essendo previsto l’impiego delle forze statunitensi per i prossimi
incarichi bellici. Con o senza di noi, nuova luce verrà.”
Distolgo lo sguardo dal diario. Rimaniamo in silenzio in questo fugace momento di pausa. Sfoglio
qualche pagina. Alcune sono strappate, altre così rovinate da risultare illeggibili. Ci godiamo ancora
qualche istante di pace, con rumori bianchi e ovattati in sottofondo, poi vado avanti nella lettura.
“I pochi talebani rimasti hanno intrapreso azioni di gruppo e solitarie per ostacolare i nostri lavori di
ricostruzione. Durante la fabbricazione dell’imponente sopraelevata Summit, abbiamo subito
imboscate da parte di folli kamikaze che hanno ferito e ucciso non solo i nostri soldati e ingegneri,
ma anche chi era solo di passaggio e non c’entrava niente. Io sono uno di quelli che va sempre in
ricognizione e la cosa mi preoccupa. Se mi colpissero? Come se non bastassero i pazzi che si fanno
esplodere e le bombe che piovono dal cielo tramite i mortai, ci si sono messi pure i contadini locali.
Hanno ragione, l’edificazione dei piloni ha rovinato i sistemi di irrigazione della zona e ora
dobbiamo ripararli. Non ci aspettavamo né imprevisti simili, né il massiccio utilizzo di esplosivi da
parte dei nemici. Quando si viene colti di sorpresa è un problema. Aumentano rischi e danni,
cambiano regole e procedure. Ciò ha irrimediabilmente allungato i tempi ma ci riassesteremo e ce la
caveremo.”
Alzo un momento la testa e penso all’interrogativo posto da mio padre in queste righe, che
purtroppo solo pochi giorni dopo ha ricevuto risposta affermativa. Mi sento improvvisamente
osservata. Mi sta ammonendo, mi sta dicendo di non pensarci. Sospiro. Anzi, sbuffo. Come a
scrollarmi di dosso quell’attenzione non richiesta. Continuo, sfruttando l’ultimo barlume del
tramonto.
“Amnesty International sta conducendo uno studio in continuo aggiornamento sui civili uccisi, fatto
che inevitabilmente ci mette pressione, anche se la NATO ha già pubblicato le scuse ufficiali.
Abbiamo fatto di tutto per evitare perdite innocenti ma trincee e buchi di ragno non bastano, nel
momento in cui i nemici utilizzano le case dei cittadini come copertura. Questi conglomerati urbani
sono un ammasso di abitazioni una dopo l’altra e una sopra l’altra. Un dedalo in cui è difficile
districarsi per noi ma non per loro. Ripenserò a lungo alle mura devastate, alle persone che non
sapevano dove scappare e sono diventate vittime del fuoco incrociato, al futuro di questi luoghi
maledetti. Nell’Operazione Falcon Summit andrà diversamente: ci sarà meno potenza di fuoco e le
truppe alleate saranno ridotte in numero e dimensione. L’ISAF ha già annunciato che si andranno a
contrastare principalmente le insurrezioni nei villaggi adiacenti, che sono praticamente ancora a
gestione tribale, ripulendoli dalla minaccia terrorista e mantenendoli per il tempo necessario. In
ogni caso, un mese in inferno sarebbe stato meno impegnativo di questo settembre.”
Mi fermo. Il tratto in cui parla della ferita sicuramente non vuole ascoltarlo. Il dolore è ancora vivo
e probabilmente non se ne andrà mai. Rifletto sugli strascichi che porta con sé ogni guerra. Il rischio
di contrarre malattie mentali, per tutti gli orrori a cui si assiste o dei quali si è protagonisti, è
elevato. Il PTSD è un mostro che ti entra dentro e non ti lascia finché campi. Mentre sono immersa nei miei pensieri mi accorgo di non vedere quasi più nulla. C’è il buio intorno a me, interrotto qua e
là dai led robotici e dei macchinari. In un’epoca simile è sempre strano dedicarsi a qualcosa di più
tradizionale, come toccare con mano dei fogli di carta, annusarne l’odore, osservarne l’inchiostro
che li impregna, da sola o mentre tutti dormono. Come adesso. Meglio che vada.
Domani torno pa’.. -
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Grazie per avermi invitato eh
Comunque, ho letto entrambi i racconti ed il mio voto va a -rullo di tamburi- Caro diaro
Sia chiaro, sono piacevoli e ben fatti entrambi i racconti, preferisco il secondo prevalentemente per gusto personale. Innanzitutto adoro le ambientazioni futuristiche e la spruzzata nel secondo racconto mi è stata molto piacevole, in secondo luogo ho apprezzato il concetto del racconto, la visione di un povero comune soldato che è in guerra per dovere e non per volontà.
Del primo, molto carino il dialogo finale(anche se su Zoe credo di avere il copyright ), pesano l'ambientazione storica ed il fatto che, secondo me, è un po' troppo lenta la prima parte.
Detto questo, bravi tutti e 2 !
Ps: Dedalo parola filo rosso del contest. -
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Che dire , sono entrambi scritti bene ma non mi convincono per un semplice motivo.
Un racconto breve, almeno secondo me , deve dilungarsi di meno in particolari ,
che seppure apprezzabili in un racconto più lungo, in uno corto distolgono solo l'attenzione.
Faccio riferimento ad alcuni maestri del genere ,
per dirne due Allan poe e Bukowsky per chiarire meglio il concetto.
Cioè un racconto anche se breve deve avere una sua trama compiuta
seppur condensata e sopratutto molta più azione quale che sia l'argomento.
In entrambi i racconti invece arrivi alla fine non pensando che sia finito
ma bensì rimani in attesa della prossima puntata.
Scrivere un racconto breve è probabilmente molto più difficile che scriverne uno lungo.
Ciò non toglie che la vostra voglia e il vostro impegno è più che apprezzabile.
Ce ne fossero di giovani con questa voglia di scrivere in questo
mondo ormai pieno di trogloditi..