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Riesumo questo topic, che speravo avesse più successo, per raccontare la mia esperienza nel recentissimo Servette-Roma. Confido, più avanti, di raccontare altre storie di stadio che hanno contraddistinto, nel bene e nel male, la mia vita da tifoso, ma questa è fresca e voglio condividerla il prima possibile.
La preparazione della trasferta - la mia prima europea e la prima in assoluto in compagnia forummara (i soliti, inimitabili Mammax e Lele) - ha animato, non senza qualche difficoltà, le settimane precedenti. Tra dilemmi amletici sui mezzi di trasporto da prendere, con annessi cambi e scali, sul tempo di permanenza e sulla logistica, era emerso un piano a orologeria pressoché perfetto, la cui impeccabilità aveva contribuito ad alimentare la tensione e l'emozione non solo per la partita, ma anche per tutto il contorno. In altre parole, già lunedì ero carico a pallettoni e non vedevo l'ora di partire.
La mattina di giovedì, dopo una comodissima sveglia alle 5.00, raggiungo la stazione di Livorno sotto una pioggia fine e quasi impercettibile, resa fastidiosa dal freddo pungente che ammanta la città; ancora non immagino che, meno di quarantotto ore dopo, raffiche di vento a 50 km/h devasteranno il lungomare. Una colazione nel tepore del bar, un'occhiata al tabellone e, alle 6.25, sono sull'Intercity per Milano. Le mie sensazioni, durante il tragitto verso nord, sono contrastanti: emozione e gioia per il viaggio in quanto tale, ansia per la partita, felicità al pensiero di rivedere due amici che non posso frequentare quanto vorrei, smania di poter finalmente rimettere piede in uno dei luoghi in cui mi sento più a casa - un settore qualsiasi pieno di romanisti, preferibilmente una curva o un settore ospiti - sonno, nervosismo per il freddo. Ad ogni modo, le emozioni dominanti sono positive, tant'è che, alle 10.55, scendo a Milano Centrale con il sorriso sulle labbra. Ho due ore di tempo per rifocillarmi e rilassarmi, dato che il treno diretto per Ginevra partirà due ore dopo, alle 13.05. Aggiorno Mammax e Lele sulle mie condizioni e dico a casa che sono vivo, dopodiché, per scaldarmi, dal momento che a Milano fa un freddo cane, inizio a camminare in su e in giù per la stazione, mandando messaggi e dando anche un'occhiata al forum. Viaggiare mi è sempre piaciuto, sia da solo che in compagnia, ma farlo per la Roma è tutt'altra cosa, mi fa sentire in missione, come parte di un tutto, mettendo in disparte disagi come la sveglia antelucana, il gelo e quant'altro. Pranzo al KFC, mi sparo un caffè bollente, leggo il giornale su una panchina, convinto che niente possa andare storto, a parte il risultato della partita. In sottofondo, sento la voce registrata che annuncia la cancellazione di alcuni treni regionali, ma ci faccio caso distrattamente, non risparmiandomi commenti mentali della serie "Poveri stolti, io non prendo mica un regionale!". All'incirca alle 12.30 o poco dopo, mi avvio verso i binari e alzo la testa per controllare il tabellone delle partenze. D'improvviso, mi arrivano un pugno in faccia e, a seguire, una ginocchiata nello stomaco: il mio treno, il mio bellissimo e puntualissimo treno per Ginevra, è stato cancellato. Senza accorgermene, mi metto le mani nei capelli e spalanco la bocca, mormorando: "Non è possibile... non è possibile...". Inizio a chiedere informazioni a destra e a manca, in un delirio di passeggeri che - me ne accorgo solo ora - versano in situazioni simili alla mia. La risposta mi arriva praticamente subito: sciopero. I sindacati, la sera precedente, hanno deliberato uno sciopero delle ferrovie. Camminando febbrilmente per tutta la stazione, non riesco a contenere un effluvio di parolacce e di imprecazioni in livornese stretto che fanno voltare più di un astante. Agguanto la prima impiegata delle Ferrovie dello Stato e chiedo informazioni. In sostanza, mi devo mettere in una coda chilometrica per sentire allo sportello se sia possibile prendere un altro biglietto. Rifiuto l'idea, perderei troppo tempo e la partita non aspetta, ma la donna - una ragazzetta minuta dall'accento meridionale - si stringe nelle spalle. A quel punto, attacco briga: "Siete vergognosi, è uno schifo! Siete il peggior servizio del Paese e avete il coraggio di scioperare! Bravi, complimenti! Il governo si dimetterà in blocco, bravissimi! Alla fine ci rimette la gente normale, ci rimetto io!". Accompagno la sbroccata con applausi sarcastici e ampi gesti con le braccia; non sono in pochi a solidarizzare con me, in una babele di accenti. "Ha ragione!". "E' vero!". Me ne compiaccio, ma non sono qui per dissertare del ruolo dei sindacati nell'Occidente del 2023. Devo trovare un modo per arrivare a Ginevra, a qualsiasi costo. Lele mi telefona e, con difficoltà, gli spiego la situazione. Altri treni non ce ne sono e l'ipotesi aereo, per vari motivi, è da scartare; al contempo, l'ipotesi di tornare a casa e di rinunciare alla trasferta non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello. Con una determinazione d'acciaio, prometto a me stesso che, alle 21.00 in punto, sarò nel settore ospiti a cantare il nostro inno. E' lo stesso Lele a offrirmi la soluzione. "Marco" mi dice "Trova un modo per arrivare fino a Brig, oltre il confine. Da lì, ogni tot, partono continuamente treni per Ginevra. Ce la fai". Riattacco e mi fiondo all'esterno, dove vengo aggredito da un vento gelido. Mi piazzo davanti al primo tassista che incontro. "La prego" dico a mani giunte "devo andare a Ginevra, è un'emergenza. Mi può portare fino a Brig?". Il tassista, all'inizio, rimane spiazzato, tant'è che mi chiede di ripetere. Per un secondo, ho l'incubo che mi mandi affanculo, invece annuisce e mi fa: "Andiamo". A bordo dell'auto, vorrei esultare come una scimmia, ma mi contengo, perché sono pur sempre un principe. Aggiorno Mammax e Lele, quindi trascorro tre ore e mezza (dovevano essere meno, ma abbiamo trovato un valico chiuso) a chiacchierare con il tassista, che diviene subito un amico: entro un'ora, infatti, so già tutto di lui, della sua ex moglie, della compagna, della figlia, dei suoi progetti per il futuro, delle sue esperienze folli allo stadio. A tal proposito, mi dice: "Voi romanisti siete unici, siete pazzi. A costo di perdermi, riuscirò a farti prendere quel treno!". E' un grande, spero di ribeccarlo, prima o poi. Il viaggio in taxi, comunque, oltrepassato il confine (dove le guardie di frontiera mi trattengono per mezz'ora, nonostante le mie spiegazioni in italiano, in inglese e pure in tedesco), è folle: dal momento che un passo, un tunnel o quel che è è chiuso, dobbiamo passare sopra la montagna, dove la temperatura è sotto zero e nevica, mentre il taxi non ha le catene a bordo. Ridiamo e scherziamo, ma percepisco che l'autista inizia a essere inquieto; lo tranquillizzo con aneddoti da stadio e dicendogli che anche lui non dimenticherà mai questa giornata. E' d'accordo con me; poco prima, l'ho visto scrivere alla compagna una cosa tipo "sto andando in Svizzera, giuro che non è uno scherzo!". Dopo un tragitto interminabile, raggiungiamo Brig, un anonimo paesino dimenticato da Dio e totalmente imbiancato. Al momento di pagare, ho un lieve mancamento (non riporto la cifra per non fare lo spaccone, ma vi assicuro che era alta), ma mi riprendo e mi fiondo in stazione. Poco prima delle 17.00, sono sul treno per Ginevra, ovviamente costatomi un altro rene, ma pazienza, per la Roma va benissimo così, anzi, è pure troppo poco. Quando, finalmente, alla stazione di Ginevra, mi ricongiungo con Lele e con Mammax e suo fratello, arrivati in treno da Lione (!), vorrei esultare come se avessimo segnato. Ce l'abbiamo fatta, cazzo! Il tragitto per lo stadio, complici le scelte cervellotiche della polizia elvetica, è un mezzo delirio, tra l'altro sotto una pioggia che non cesserà fino alla mattina di due giorni dopo e con un freddo della Madonna. Arriviamo nel settore ospiti dopo esserci infilati accidentalmente in una sorta di sottopassaggio pedonale PIENO di tifosi del Servette, dopodiché, birra alla mano, ci uniamo alla bolgia. Cantiamo ininterrottamente fino alla fine, abbracciandoci e scherzando tra noi, fratelli in giallorosso che, per una volta, hanno colmato la distanza geografica che li separa. La prestazione oscena e il risultato ci fanno cascare le palle, ma l'emozione dominante, almeno per me, è la gioia di essere stato lì, insieme a loro e a tutti gli altri romanisti, a cantare e a urlare per la nostra maglia, a prescindere da tutto. Una volta di più, mi rendo conto, con soddisfazione e con un pizzico di malinconia, di essere un tifoso da stadio e non da salotto. Dopo il fischio finale, il pensiero di non sapere quando potrò tornare a tifare la mia Roma dal vivo mi tormenta, ma cerco di non pensarci e mi godo la compagnia degli amici, nonostante un viaggio di ritorno da brividi (non scrivo i dettagli, mi limiterò a riportare la sequenza di frasi che ha reso leggendario il momento clou: "Pourquoi? Ma che voi?" "Lele, chiudi la macchina. Lele, recupera mio fratello". Sorvolo sui giorni successivi, dedicati a un turismo che non si è piegato alla pioggia e al freddo, dico solo che sono ancora rincoglionito Alle 21.13 del sabato, quando ho rimesso piede a Livorno, ho provato una soddisfazione difficile da spiegare, roba da veni, vidi, vici. Eppure, mi direte, è stata solo una trasferta del cazzo di Europa League, tra l'altro contro un avversario da dita in gola... beh, lo so, ma che ve lo dico a fare? Questa è la Roma, per me: attaccamento, appartenenza, a prescindere da tutto il resto (fermo restando che, se avessimo vinto, sarebbe stato meglio )
Forza Roma! Dieci, cento, mille di queste serate.
Giallorossa, con la lupa sopra il petto io di amarti non smetto Sei la squadra del mio cuor! Non mollare Anche se poi giochi male Io sarò qui a cantare Per la squadra del mio cuor! Alé Roma alé Alé Roma alé Alé Roma alé Roma alé Roma alé
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